La notizia è che l’app Immuni è stata scaricata da appena 3.5 milioni di italiani. Un po’ poco per la sua fondamentale funzione di tracciamento dei casi positivi a posteriori e della sua segnalazione alle persone che sono entrato in contatto con loro nei giorni precedenti.
La ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, commentando questo dato, si è detta comunque fiduciosa: «Siamo all’inizio, sono passati pochi giorni da quando è finito il periodo di sperimentazione, dobbiamo ancora entrare nel vivo della campagna di comunicazione».
Nonostante nella nostra intervista anche il noto epidemiologo Pier Luigi Lopalco, responsabile del Coordinamento regionale per le Emergenze epidemiologiche in Puglia (una delle Regioni in cui è partita la sperimentazione), abbia ricordato che il nostro è stato il primo paese a dotarsi di quest’applicazione, l’impressione è che sia partito comunque tutto troppo tardi.
Perché se vi guardate intorno noterete che tutti sono in giro, magari senza neanche portare con sé le mascherine, e che, dopo la fase di estrema attenzione durante il picco invernale, siamo in quella che è la tipica fase della “rimozione”, anche questa studiata da sociologi ed epidemiologi, in cui la responsabilità dei singoli viene un po’ meno e sono istituzioni e strutture che devono essere pronte.
In che modo? Una delle questioni principali è proprio quella della comunicazione. Anche questa, secondo molte critiche, andava preparata ad aprile, per esempio. E invece non siamo ancora pronti, nemmeno al termine della fase sperimentale. E poi i dipartimenti di prevenzione stanno ancora lavorando per raggiungere gli standard dei tracciatori civici indicati dal ministero (con grossi punti interrogativi sulla loro potenziale efficacia).
Il vero punto della questione sta ancora nei numeri. In Germania l’app è stata scaricata da un numero di persone decisamente più esteso anche paragonando i numeri a quelli della densità della popolazione italiana. I loro 7 milioni di download dovrebbero equivalere ai nostri 5 milioni, e così è evidente che siamo un po’ indietro, soprattutto se consideriamo che i teutonici hanno reso disponibile l’applicazione solo il 16 giugno, mentre da noi la fase sperimentale è cominciata una settimana prima. Certo, esiste l’altro lato della medaglia. In Francia, per esempio, sembra che i download siano stati appena 1,5 milioni.
C’è, però, una buona notizia: secondo l’Università di Oxford non ci sarebbe bisogno di raggiungere il 60 per cento degli smartphone disponibili per funzionare in modo adeguato. Basterebbe il 14 per cento per contrastare in modo statisticamente efficace il contagio. Certo il 14 per cento equivale comunque 8.4 milioni di italiani. Siamo dunque ben lontani anche da questo obiettivo minimo.
Percentuale di tracciamento utile ad abbattere il contagio. Fonte: Technology Review.
Il fatto è che la funzione di Immuni resta nella volontarietà dei singoli che decidono di scaricarla, come un fondamentale dovere civico. Misure coercitive o diverse da quelle dall’utilizzo volontario sono impensabili in un paese democratico.
Dunque, che fare? Un’azione governativa coordinata dovrebbe insistere sul tenere alta la guardia, ma è un po’ difficile quando gli assembramenti diventano la regola, riaprono le discoteche e sono impossibili i controlli nelle spiagge libere.
D’altro canto neanche la filiera di tracciamento garantita dall’app è molto ben chiusa. Di fatto, così come gli stessi cittadini sono liberi di scaricarla o meno, altrettanto non è chiaro che succede se si verifica una notifica di contatto con un positivo.
Tralasciando, infatti, l’inesistenza di un riferimento (l’unico caso a Bari è poi rientrato senza particolari controlli), cosa deve fare un cittadino che ha ricevuto la notifica? Potrebbe cancellare l’app e far finta di nulla (in Francia sembra che un terzo di coloro che l’hanno scaricata se ne siano poi liberati). Se no? Esistono i numeri da contattare. A quel punto si entra sotto un riflettore: sarà possibile effettuare subito i tamponi? Una delle discussioni che ha tenuto banco in questi giorni è di far crollare i tempi di attesa per il secondo tampone da 14 a 3, forse proprio per scongiurare queste attese. Non è facile immaginare una vita “a intermittenza” tra autoquarantene e libertà.
La filiera sanitaria va sicuramente ben definita e comunicata, ma, ripetiamo,sembra piuttosto tardi per fare tutto. A meno che non dovremo abituarci a usare quest’app per far fronte a una seconda ondata o anche ad altre emergenze sanitarie.
Un altro dato non trascurabile, come ha sottolineato Salvatore Iaconesi in un’altra intervista con Sinapsimag, non è tanto quello della violazione della privacy, problema oggettivamente marginale, ma proprio l’ingresso di colossi come Google e Facebook come attori principali nelle politiche sanitarie, con scenari tutti da definire.