Per la rubrica Le vostre domande ci scrive Eleonora da Milano:
«Cara Redazione, ho letto con interesse i vostri articoli sull’economia e sulla sociologia. Vorrei sapere se anche qui, adesso, in Occidente, in Europa e in Italia nello specifico esista una via per sfuggire al dominio del denaro. Possibile che i soldi siano al centro di tutto? Relazioni, lavoro, salute? Cosa possiamo fare per spostare quest’asse su equilibri più “umani” che mettano al centro i valori che abbiamo acquisito e non la loro mercificazione?».
Eleonora – Milano
Risponde a questa domanda complessa il professore e giornalista Carlo Formenti (Zurigo 1947). Formenti è stato caporedattore del mensile “Alfabeta” e redattore del “Corriere della Sera”; ha insegnato Teorie dei nuovi Media e Sociologia del Lavoro all’Università del Salento; collabora a “Micromega”. Ha scritto numerosi saggi, fra cui Fine del valore d’uso (1980); Incantati dalla Rete (2000); Felici e sfruttati (2011); Utopie letali (2013); La variante populista (2016); Il socialismo è morto. viva il socialismo (2018).
«Le radici dei problemi epocali che Lei segnala, gentile lettrice, non vanno ricercate nel denaro in quanto tale. È pur vero che da sempre le religioni (ma anche molti geni della letteratura mondiale, a partire da Shakespeare) hanno visto nel denaro “lo sterco del diavolo” e una delle origini del male. Né è per caso che le stesse religioni condannassero l’usura come un peccato gravissimo. Tuttavia, prima dell’avvento del capitalismo, il denaro non aveva mai svolto un ruolo esorbitante paragonabile a quello che svolge nel mondo attuale, fino a influenzare – come Lei giustamente osserva – ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
Il grande economista e filosofo ungherese Karl Polanyi, nel suo capolavoro intitolato La grande trasformazione, sottolinea come in tutte le società premoderne l’economia (e di conseguenza il mercato) abbia svolto un ruolo marginale e subordinato ad altri sistemi sociali, come il potere politico, le tradizioni culturali e religiose, i legami famigliari e comunitari, ecc. Solo con l’avvento del capitalismo l’economia si installa al centro della scena e riconduce ogni cosa sotto le leggi del mercato, ivi compreso il lavoro, la terra e la stessa moneta; ciò che tutte le precedenti società avrebbero considerato mostruoso in quanto equivale a mercificare l’uomo e la natura. È a partire da quel momento che il denaro, da semplice mezzo di scambio, si converte nella misura di tutte le cose.
Sempre Polanyi rileva come il liberismo ottocentesco, che affermava che il mercato doveva essere liberato da ogni interferenza del potere politico, a prescindere dagli effetti sociali generati da tale libertà, abbia prodotto tanti e tali danni da provocare un riflesso autodifensivo della società che ha reagito restituendo allo Stato – e quindi alla politica – il potere di limitare la libertà del mercato in funzione della realizzazione di determinati obiettivi sociali (diritto al lavoro, redditi e condizioni di vita dignitose per tutti, assistenza sanitaria, accesso all’istruzione, ecc.).
Questo riequilibrio fra potere politico e potere economico – coinciso con l’adozione delle politiche economiche keynesiane basate sul compromesso fra gli interessi della classe capitalistica e quelli delle classi lavoratrici – è durato fino agli anni Settanta del secolo scorso. Da allora a oggi siamo progressivamente ricaduti in un mondo totalmente dominato dalle leggi del mercato e dai “valori” di una cultura neoliberista che pone l’arricchimento individuale al di sopra di ogni valore umano, civile e sociale. Tutto ciò durerà finché non sorgerà una consapevolezza diffusa degli effetti devastanti di questo ritorno al passato e torneranno a crearsi le condizioni per una nuova Grande Trasformazione che tagli le unghie allo strapotere dei mercati».
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