Pangea è il nome del Supercontinente formatosi più o meno 330 milioni di anni fa. Al tempo il Nord America era attaccato all’Africa e insieme a Europa e Sud America formava questo immenso continente caratterizzato da temperature più fredde, maggiore presenza di ghiacci e da un clima arido nelle zone interne. I livelli di CO2 erano, non a caso, ai livelli più bassi mai registrati negli ultimi 500 milioni di anni, a causa di processi bio-chimico-fisici che hanno accompagnato la formazione del Supercontinente, prima fra tutti la dissoluzione dei silicati, un meccanismo che preleva CO2 dall’atmosfera.
Fig.1 – Pangea, fonte: Massimo Pietrobon
Proprio la dissoluzione dei silicati è parte essenziale del ciclo del carbonio e regola le concentrazioni di CO2 su valori che hanno garantito la vita sul nostro pianeta. Questo processo è stato definito “il termostato terrestre”, esattamente come il termostato di casa regola la temperatura delle stanze, mantenendola su valori confortevoli.
Cosa voglio dire? Ecco qui un esempio. Quando la temperatura planetaria aumenta per una qualche causa, vi è un aumento anche nelle precipitazioni e la dissoluzione dei silicati si intensifica, determinando una riduzione delle concentrazioni di CO2 in atmosfera e quindi un abbassamento delle temperature nel lungo periodo.
Questo processo, che chiamiamo feedback negativo, perché si oppone al cambiamento in atto (in questo caso il riscaldamento), garantisce che le temperature planetarie non continuino ad aumentare, rendendo la Terra invivibile.
Le concentrazioni di CO2 fluttuano così nel tempo aumentando e diminuendo con una certa regolarità. È una vera e propria danza nelle ere geologiche quella che compie la nostra molecola di anidride carbonica.
Fig. 2 – Le concentrazioni di CO2 nel tempo. La linea blu rappresenta le fluttuazioni della CO2 a partire da 400 milioni di anni fa. E’ la danza della CO2. La linea rosso e quella tratteggiata rappresentano dei “best fit” lineari, che indicnoa una lenta diminuzione di CO2 nel tempo. In arancione l’attività solar. Le bande bianche e nere in alto rappresentano rispettivamente periodi caldi (assenza di ghiacci) e freddi ( presenza di ghiacci in almeno uno dei due poli). Riadattamento da Foster et al. 2017.
La rottura del Supercontinente determinò un aumento imponente dell’attività vulcanica con conseguente aumento della CO2 e, quindi, delle temperature terrestri.
I nuovi continenti furono caratterizzati, così, da condizioni climatiche più umide, che favorirono l’espansione di piante, quali le angiosperme, le piante più evolute, e la loro diversificazione.
I livelli di CO2 arrivarono a toccare le 2000 parti per milione (ppm) durante il Triassico, i valori più alti mai registrati negli ultimi 400 milioni di anni, per poi nuovamente diminuire.
In seguito, la formazione del sistema montuoso dell’Himalaya favorì dapprima un aumento della CO2 e successivamente, con l’intensificarsi della dissoluzione dei silicati, una nuova diminuzione.
Se guardiamo al lunghissimo periodo, le concentrazioni di CO2 sono lentamente diminuite negli ultimi 400 milioni di anni (linea rossa in Fig.2) compensando l’aumento dell’attività solare e garantendo temperature ideali per la vita sulla terra.
Le previsioni più pessimistiche riguardo le nostre emissioni di CO2 vedono la possibilità di raggiungere le 2000 ppm, valori simili a quelli del Triassico, o addirittura le 4-5000 ppm se si dovessero usare tutte le riserve di carbonio convenzionali e non.
Un valore mai registrato negli ultimi 500 milioni di anni potrebbe essere superato nel giro di poco più di 200 anni. La danza sinuosa della CO2 nel tempo potrebbe essere seriamente disturbata dall’azione dell’uomo.