Ai più acuti osservatori sarà capitato di notare, entrando in qualunque luogo commerciale, una specie di attestato esposto in cui si dichiara la verifica della concentrazione di radon. Tra gli acuti osservatori, i più curiosi si saranno chiesti di che cosa si tratti. Qui proveremo a spiegarvelo, a prescindere che voi apparteniate alla categoria degli osservatori o dei distratti, dei curiosi o dei disinteressati.
Partiamo dal presupposto, forse poco scontato, che in natura esistono molte specie chimiche radioattive, ovvero atomi con un assetto elettro-chimico poco stabile che tendono a trasformarsi in altri atomi. La trasformazione degli uni verso gli altri comporta l’emissione di particelle (per intenderci elettroni, protoni, fotoni e simili), che comunemente chiamiamo radiazioni.
A dirla tutta gli elementi radioattivi naturali si raggruppano in tre grandi famiglie: dall’elemento capostipite hanno luogo varie trasformazioni a catena fino ad arrivare all’ultimo discendente, l’elemento stabile, che generalmente è il Piombo.
Nel mezzo della famiglia dell’Uranio, troviamo il Radon, un gas inerte, incolore e inodore, secondo per rilevanza tra gli agenti cancerogeni per tumore polmonare, dopo il fumo di sigaretta.
Discendendo dall’uranio, il radon si trova nel suolo, nelle rocce e quindi anche nei materiali da costruzione. Ci sono geologicamente zone in cui la concentrazione è più elevata rispetto ad altre, ad esempio in suoli di origine vulcanica così come ci sono materiali più radioattivi di altri, come il granito o il tufo.
Questo gas tende ad accumularsi in ambienti chiusi ed è quindi necessario fare in modo che la sua concentrazione non superi determinati limiti considerati dannosi per la salute. Anche se, essendo un gas inerte, il radon di per sé non costituisce un gran problema, di fatti è chimicamente poco reattivo e oltre che inalabile è facilmente eliminabile per via respiratoria.
Non altrettanto, però, si può dire dei suoi discendenti, ovvero le specie chimiche che lo seguono nella catena radioattiva. Elementi come il polonio e il bismuto facilmente si aggregano al pulviscolo respirato e una volta arrivati al livello polmonare emettono anch’essi un tipo di radiazione in grado di provocare danni biologici alle cellule.
È inutile allarmarsi, sebbene la fobia dell’invisibile sia sempre in agguato, per evitare che il radon si accumuli troppo bastano pochi accorgimenti (a meno di situazioni molto critiche): arieggiare i luoghi chiusi e fare in modo che il ricambio d’aria sia efficiente.
Per la serie (a dire il vero poco seguita) “Tranquilli, c’è lo Stato”, nel novembre 2016 la Regione Puglia, sulla base del decreto legislativo nazionale 230 del 1995, ha emanato una legge che assicura il non superamento di un determinato limite di concentrazione e obbliga tutti al suo monitoraggio. Tra questi tutti ci sono esercenti di ogni tipo, luoghi pubblici (al chiuso ovviamente) ed edifici destinati all’istruzione. Tutti i luoghi in cui vi accorgerete spuntare come funghi i dispositivi di rilevazione del radon (generalmente piccole scatolette nere) e attestati di verifica.
Per farla breve, siamo in una botte di ferro. L’unico problema sarebbe se nella botte ci fosse uranio e nessuna presa d’aria.