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Dati, dal paradigma estrattivo a quello esistenziale. Dialogo con Salvatore Iaconesi

Artista e designer, Salvatore Iaconesi ha fondato insieme alla moglie Oriana Persico Art is Open Source e HER: She Loves Data, i centri di ricerca che usa per esplorare la trasformazione umana nell’epoca dei dati e della computazione ubiqua. Insieme a Oriana ha scritto Digital Urban Acupuncture (Springer, 2016), La Cura (Codice Editore, 2016), Read/Write Reality (FakePress Publishing, 2011), Romaeuropa FakeFactory (DeriveApprodi, 2010) e Angel_F: diario di vita di un’intelligenza artificiale (Castelvecchi, 2009).

Abbiamo provato a parlare proprio di dati, intelligenza artificiale e, in definitiva, del futuro dell’umanità.

App Immuni: tu e Oriana Persico avete scritto articoli davvero condivisibili. Come la pensate?
Lo scenario è veramente molto semplice, in realtà. Tecnicamente non c’è nulla che non vada nell’app, anche dal punto di vista della privacy. La questione, infatti, è che non si tratta di questione tecnica.
Ci sono almeno tre elementi problematici.
Una questione di fiducia nella società. Non c’è nessuna azione volta a costruire un clima e una cultura della fiducia nel paese, sia tra le persone che tra persone e istituzioni e viceversa. Questo vale a prescindere dalla pandemia. Ma nella pandemia diventa essenziale. Nel nostro paese i fenomeni diffusi che vanno dal microscopico al sistemico, dal trattare gli abitanti come bambini che si pensi stiano per rubare la marmellata sino agli enormi fenomeni della corruzione, nulla porta nella direzione della fiducia.

Poi, c’e l’assoluta mancanza di interventi sistemici che sono necessari per affrontare una situazione del genere. Perché una soluzione tecnica come un’app abbia una qualche possibilità di essere utile, sono necessari interventi sistemici sull’accesso alla sanità, accesso alle opportunità, riduzione dei disequilibri economici, mitigazione delle fragilità psicologiche, sociali, finanziarie e così via.

Non da ultimo: con questo tipo di operazione, i colossi internazionali come Google e Apple si sono garantiti con un colpo di mano veramente poderoso un posizionamento di primaria importanza nelle politiche pubbliche della salute del nostro paese (e a livello globale). Non so se ci stiamo rendendo conto.

Sulla tua esperienza personale, se La Cura potesse avere un nuovo capitolo, di cosa parlerebbe? E quali sono i libri, le performance e gli autori che consiglieresti per comprendere e approfondire la tua visione?
In realtà, purtroppo, La Cura ha avuto un nuovo capitolo, perché proprio durante la pandemia ho avuto una recidiva al mio cancro al cervello. E, già da prima, in questi ultimi anni, stavamo esplorando quello che con Oriana chiamiamo “il lato oscuro della cura”.

I temi? I limiti della solidarietà nella nostra società iperconnessa, in cui, pur potendo beneficiare di miriadi di connessioni, ci troviamo praticamente soli.
E poi tanti altri, quali il maggiore limite del nostro rapporto con i dati: la loro caratteristica estrattiva, e il fatto che la visualizzazione delle informazioni tenda a renderci spettatori, non attori.

E, partendo da questi, la necessità di nuovi paradigmi epistemologici, in cui lo scienziato, il ricercatore, lo statistico e gli altri non siano attori estrattivi, che ambiscano quindi ad estrarre dati, informazioni, immagini e altro da corpi, società e ambiente per computarli nella separazione dei laboratori. Ma si trasformino in performer completamente immersi nella società, in cui i dati siano elemento esistenziale dei soggetti, che vengono abilitati a unirsi e rappresentarsi e, quindi, a comprenderesi, in un nuovo rapporto tra individui, comunità, società, ambiente e attori non umani, anche computazionali.

In questa direzione, consiglierei di leggere tutto quel che parli della sociologia della scienza di Bruno Latour, o delle cose che raccontino le gesta basagliane che portarono alle riforme della psichiatria, o circa le nuove figure di “giardiniere” proposte da Gilles Clément quando parla del Terzo Paesaggio, cercando di fare il parallelo tra giardino e scienza.

Iaconesi-Persico

Salvatore Iaconesi e Oriana Persico

Sviluppando quello che invece è il tuo pensiero circa l’uso dei dati, la ricerca, l’intelligenza artificiale, non è evidente che si stia delineando un futuro in cui l’accesso a queste tecnologie sarà di vitale importanza? È utopico pensare ci si possa arrivare in modo inclusivo? Dove sta andando l’umanità, tra le bioprotesi e i cyborg o l’ipotesi di una nuova vita su altri pianeti, come lascia immaginare lo storico volo di SpaceX?
Siamo sempre stati cyborg, e questa è forse la cosa che ci caratterizza come essere umani. In “2001: Odissea nello spazio” la scimmia cambia quando usa la tecnologia, e diventa umana. Non è un caso che, nello stesso film, il passaggio successivo sia proprio focalizzato sull’intelligenza artificiale. Il prossimo stadio di evoluzione?
Sì, ma nel senso della complessità, non come tendono a farci credere le serie televisive e i film hollywoodiani. In questo momento ci troviamo in una condizione di tragedia, in cui due tensioni contrapposte si incontrano e creano un vortice senza soluzione. Al centro di questo vortice ci sono i dati e la computazione.
Da un primo punto di vista, i dati e la computazione corrispondono oggi al maggiore e più diffuso fenomeno estrattivo del nostro pianeta. Più del petrolio o di qualsiasi altro minerale o fonte di energia. Come tali, mettono continuamente a repentaglio la nostra possibilità di godere dei nostri diritti e delle nostre libertà, mettendo a rischio le nostre democrazie.

Da un altro punto di vista noi, come esseri umani, potremo affrontare le grandi questioni planetarie ecosistemiche – la pandemia appena trascorsa è solo la prima, stanno per arrivare il cambiamento climatico, la povertà, le migrazioni, e le altre – solo attraverso enormi quantità e qualità di dati: poterli raccogliere e rendere esperibili e agibili in maniera diffusa.

Da un lato dobbiamo proteggere, dall’altro dobbiamo accedere.
Come si fa? Cambiando approccio. Abbandonando il paradigma estrattivo, trasformandolo in uno esistenziale, secondo cui i dati sono elemento esistenziale del soggetto che, in quanto tali, può deciderne, condividere, eccetera. E creando una nuova forma di alleanza tra esseri umani e attori non umani (ad esempio computazionali e dell’ambiente), volta ad acquisire nuove sensibilità e capacità di relazione.
Una nuova cosmologia abilitata dalla collaborazione tra scienze, tecnologie, società, design e arte.

Data science, futuro dell’umanità, sviluppo e ricerca. Sembra tutto lontanissimo dalla comprensione di gran parte degli individui che vivono sulla Terra nel 2020. Che cosa dovremmo fare perché questo tipo di conoscenze possano arrivare a tutti e come evitare che un’élite possa approfittarne? È troppo tardi?
Non dobbiamo pensare che tutti questi tipi di conoscenza avranno ricadute uguali per tutti. Non penso che tutti i bambini debbano imparare a programmare, o che tutte le nonne debbano imparare come si fa una visualizzazione di dati. Penso, però, che le nostre vite cambieranno, e che cambieranno le nostre pratiche quotidiane, la nostra dieta comunicazionale, il nostro modo di relazionarci.

Il nostro centro di ricerca (che sta anche per cambiare nome: da HER – Human Ecosystems Relazioni a HER: She Loves Data) si occupa proprio di questo: dei Rituali del Nuovo Abitare, proprio studiando questo nuovo rapporto tra tutti i diversi tipi delle nostre quotidianità e i dati e la computazione, che sia in casa, nel condominio, nello spazio pubblico, nella scuola, nell’ufficio, in un ospedale o cos’altro.

Stiamo documentando questa trasformazione con la serie di articoli che costituiscono gli appunti aperti per la creazione del nostro nuovo centro di ricerca.

Andrea Aufieri

Cerco di coltivare una curiosità basilare per questo mestiere. Lavoro con le parole e con i dati, sono il direttore di Sinapsimag e mi interessano molto le dinamiche sociali legate al progresso scientifico. andreaufieri.it

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