Il respiro è al centro della vita umana. È vero, è un fatto automatico, ma proprio per questo bisogna prestargli attenzione. La qualità del respiro può dire molte cose. Oltre a tutto questo, sono evidenti le implicazioni simboliche e concrete che il respiro ha nella società. “Cosa respiriamo?” è la domanda che potrebbe riassumere tutte le lotte ecologiste in corso. Sono ancora fortissimi gli echi del grido di dolore “I can’t breathe!” di George Floyd, essere umano morente che implorava di poter vivere ai poliziotti che lo stavano uccidendo. Il ritmo e la profondità del respiro sono fondamentali nella società dell’ansia. E la vita quotidiana degli esseri umani è stata sconvolta nella routine dell’uso di mascherine, quando una speciale forma di polmonite ha intasato le terapie intensive di tutto il mondo, facendo conoscere anche alla nostra specie la Sars-CoV-2.
Sara Zambonini
Per tutti questi motivi siamo stati incuriositi dal lavoro di Sara Zambonini, alla quale abbiamo voluto porre tre domande. Dottoressa in Filosofia, specialista in Filosofia delle emozioni, ipnoterapeuta, membro della National Guild of Hypnotist e terapeuta in Gestione delle emozioni. Lavora in due studi situati a Neuchâtel e Losanna (Respiro e Hypnosophia) di cui è titolare, è interessata all’amore come stato permanente sul quale ha scritto un articolo «Qu’est-ce que l’amour ?».
Dottoressa, che cos’è il respiro? Non è solo un fatto meccanico?
La domanda richiede una risposta dalle sfaccettature multiple. Da un punto di vista medico, il respiro è sicuramente un atto meccanico: si tratta di un processo fisiologico che permette all’organismo di introdurre ossigeno e di liberare diossido di carbonio. Sappiamo bene che si tratta dello scambio di ossigeno preso dall’esterno e dell’eliminazione del diossido di carbonio tra gli alveoli polmonari e il sangue polmonare (respirazione esterna) e dello scambio d’ossigeno e di diossido di carbonio tra il sangue circolante e le cellule di tutti i tessuti corporei.
Possiamo però vedere l’atto di respirare da un punto di vista psicologico: la velocità dell’atto respiratorio aumenta in presenza di ansia e stress e si possono notare variazioni a livello della localizzazione del movimento respiratorio. Se una persona è ansiosa e presenta sintomi di depressione, la sua respirazione sarà collocata in alto, a livello della gabbia toracica, come se respirasse con la superficie dei polmoni: l’impressione data è che la parte bassa del corpo non ha accesso al massaggio respiratorio offerto da un tipo di respirazione addominale e diaframmatico.
Ora, da un punto di vista prettamente simbolico -e non solo- la respirazione è certamente associata alla vita. Si parla di primo e ultimo respiro per designare rispettivamente la vita e la morte; si può morire per soffocamento; quando vogliamo riprendere le forze andiamo a prendere “una boccata d’aria “. Ed è associato al controllo: quando fumiamo e quando pratichiamo la respirazione addominale lo facciamo per tenere sotto controllo stati d‘ansia e stress.
È quindi innegabile che in un momento così delicato come la minaccia di attacco al respiro provocato da una malattia infettiva altamente contagiosa, molte persone si confrontino alla sensazione della perdita di controllo, a certe emozioni decisamente spiacevoli come l’angoscia di incorrere nelle complicanze non solo respiratorie relative alla malattia, e in stati d’ansia generalizzata dovuti all’isolamento sociale e alle conseguenze che un possibile contagio potrebbe avere sui propri cari.
Perché nella vita “disimpariamo” a respirare rispetto a quando siamo neonati e quanto ci costa tornare a un respiro profondo?
La respirazione è direttamente connessa alle emozioni. Nella vita è inevitabile incorrere nelle emozioni a valenza negativa: si tratta di emozioni che normalmente vorremmo evitare, ma che fanno parte della natura umana e che hanno funzione adattativa. Pensiamo alla frustrazione provata da un bambino di undici mesi che non riesce a camminare e che dopo vari tentativi finalmente compie i primi passi: la frustrazione provata nei primi momenti aumenta il valore del sentimento di riuscita e della fierezza. Il bambino sviluppa gradualmente la fiducia in sé stesso, ma affinché ciò possa accadere, vive delle emozioni spiacevoli come la collera, la tristezza, il sentimento d’abbandono, la paura, eccetera. Grazie a queste emozioni possiamo apprendere e sviluppare strategie per risolvere i problemi e sviluppare modalità creative per evolvere in un determinato ambiente. Se tutto va bene, se non ci sono traumi maggiori che impediscono questa adattabilità, l’individuo cresce in maniera armoniosa e impara a gestire le proprie emozioni, cercando di carpirne il significato. Nel caso in cui queste emozioni non siano accolte nella loro natura con un atteggiamento favorevole, l’individuo tenderà a mettere le proprie emozioni a distanza per non sentirle. Il meccanismo è semplice: sappiamo che le emozioni si manifestano con delle sensazioni a livello fisico e che, ad esempio, la paura si sente come una morsa allo stomaco, un’ oppressione al torace, genera pensieri colorati dalla preoccupazioni e spinge a comportamenti atti a evitare le situazioni che generano questa paura. Ora, adottando una respirazione superficiale, la persona non sente più le sensazioni fisiche dell’emozione, i muscoli dell’addome risultano contratti e la respirazione più veloce: l’emozione è messa a distanza. Il problema è che l’emozione non scompare, ma resta e si manifesta con pensieri ansiogeni: un circolo vizioso tra evitamento dell’emozione e respirazione superficiale si installa.
Il respiro profondo permette il contatto e la presa di coscienza di queste sensazioni fisiche talvolta spiacevoli ed è questa la ragione principale per cui “disimpariamo” a respirare profondamente.
Qual è il primo passo per imparare di nuovo a respirare profondamente?
L’accettazione dell’emozione è la chiave per ritrovare un atto respiratorio più profondo e gradualmente rigenerante. Sembra un concetto di matrice orientale, ma in realtà si tratta di un fatto facilmente osservabile. Respirare profondamente significa prendere coscienza delle proprie emozioni e prendere atto che per essere in uno stato di calma e approfittare di una migliore ossigenazione dei tessuti, bisogna quantomeno accettare ed essere benevoli verso sé stessi e le proprie emozioni. Questo significa praticamente prendere il tempo di stare da soli, autorizzarsi a vivere un’emozione senza metterla a distanza. Esempio: se Francesca si sente ansiosa guardando il telegiornale che documenta i danni della pandemia, può spegnere il televisore chiedendosi “quali sono le parti del mio corpo che risentono dell’ansia?”. La respirazione addominale è uno strumento validissimo per identificare le tensioni emozionali fisicamente esistenti. Una volta identificate, sempre respirando profondamente, Francesca può autorizzarsi a sentire la tensione e a piangere se ne ha bisogno. Dopo l’esercizio, sarà più semplice per lei avere una respirazione più profonda e i pensieri che avrà saranno più chiari, grazie alla calma che segue il momento d’espressione emozionale.
Questo tipo di esercizio permette di riprendere il controllo del proprio respiro e ciò è assimilabile a una sensazione di maggiore controllo sulla propria vita, che può risultare assai benefica quando si tratta di ridurre gli stati d’ansia dovuti alla situazione attuale.