In principio era il suono… L’eco, il sibilo del vento, lo scrosciare delle acque, il boato dei tuoni, il cinguettio degli uccelli, il grido degli animali, il fruscio dei passi, il ritmo della corsa, il battito del cuore: un mondo di suoni ha circondato l’uomo fin dalla sua comparsa, avvenuta oltre 2,5 milioni di anni fa. E se le prime testimonianze di oggetti sonori (pietre, conchiglie, ossa bucate, corni) risalgono intorno ai 40.000 anni fa, certamente i suoni come forma comunicativa sono nati insieme all’uomo e molto prima della parola.
Il concetto di musica come la intendiamo noi oggi ovvero come una attività che l’uomo organizza intorno ai suoni sta ad indicare un percorso evolutivo che scorre di pari passo con quello del genere Homo. Dalla comparsa delle prime forme umane ai sapiens il cammino è stato caratterizzato da una spiccata encefalizzazione con una evoluzione culturale che andava inizialmente di pari passo con quella biologica fino a diventare predominante rispetto a questa. Le varie tappe del percorso evolutivo sono state caratterizzate quindi da un cervello non solo sempre più voluminoso ma soprattutto via via più complesso, in grado di leggere e interpretare il mondo esterno con il quale instaurare scambi sempre più sofisticati. Il nostro essere umani non può, infatti, prescindere dall’ambiente in cui viviamo.
L’idea di musica più diffusa è quella che si riferisce ad una espressione artistica intesa come elaborazione cognitiva e interpretativa dell’uomo dei suoni della natura. Per far questo occorre una struttura cerebrale complessa, che sia in grado di seguire e coordinare vari processi: ascoltare, decodificare, rielaborare, esprimere.
L’uomo è stato immerso nei suoni da sempre ed è, pertanto, molto difficile stabilire quando ha cominciato a organizzare i suoni in architetture musicali finalizzate ad esprimere specifiche emozioni. Le evidenze archeologiche ci testimoniano quando l’uomo ha provato a produrre delle sequenze sonore attraverso degli strumenti, ma non possiamo sapere l’istante preciso in cui queste sono divenute delle costruzioni armoniche. Pertanto, tenendo conto che la musica è presente in tutte le culture, ha forse più senso comprenderne il potere. Senza alcun dubbio la musica suscita emozioni profonde che vanno dal puro piacere estetico alla gioia, dal dolore alla disperazione o, ancora, all’euforia. In essa, infatti, vengono veicolati, ricompresi e tradotti i significati emotivi più profondi dell’animo umano che difficilmente riusciremmo ad esprimere compiutamente con altre forme comunicative e che danno colore al nostro vivere quotidiano. Nel corso dell’evoluzione sono stati selezionati dei canali cerebrali in cui convogliare i diversi suoni e distinguendo quelli che segnalavano pericolo o angoscia da quelli che rafforzavano la coesione sociale. Pertanto, l’evoluzione culturale ha – nel corso tempo – isolato i suoni minacciosi potenziando quelli che rafforzavano i legami affettivi fra i componenti di una comunità, conferendo alla musica, quindi, un potere fortissimo come mezzo comunicativo ma anche come strumento per una organizzazione sociale stabile.
L’elaborazione e la decodificazione dei suoni si sono rivelate atti cognitivi fondamentali per la sopravvivenza. Tutti i segnali sonori che provengono dall’esterno e le risposte ad essi sono mediate dall’area limbica che carica di tensione emotiva sia i messaggi in entrata che quelli in uscita. Tutto ciò è stato accompagnato dall’evoluzione di strutture cerebrali preposte a raccogliere i suoni del mondo esterno e tradurli in emozioni (sistema limbico). Infine, la corteccia associativa ha costruito una specie di archivio sonoro-emotivo in cui a determinate categorie sonore corrispondono altrettante categorie emotive e comportamentali, dal momento che esistono delle reattività indotte dalla musica.
Il rapporto dell’uomo con i suoni non è diverso da quello di altre specie animali che nell’elaborazione e decodificazione sonora fondano la loro sopravvivenza e la stessa vita sociale. Pensiamo ad esempio ai “canti” di corteggiamento presenti negli uccelli ma anche nei gibboni. Alcuni studi condotti su queste scimmie hanno rilevato che i duetti maschi-femmine mostrano una architettura molto simile allo schema che caratterizza, per grandi linee, le composizioni musicali: si inizia con un piano per poi continuare con un crescendo ritmico che raggiunge un apice per poi ritornare, con un diminuendo, al punto di partenza.
Da quanto sinora detto, possiamo affermare che esistono due “ambienti sonori”, uno naturale e uno costruito dall’uomo. Approfondiamo questi aspetti con il giornalista, scrittore, divulgatore musicale e docente universitario di musicologia Michelangelo Iossa.
Cos’è la musica e se per musica si debba intendere solo il “prodotto artigianale dell’uomo” o si può considerare musica qualsiasi sistema sonoro che sia in grado di suscitare emozioni?
“Senza musica la vita sarebbe un errore” affermava il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche e non posso che essere d’accordo con lui. Proviamo solo a immaginare la nostra vita senza suoni, senza musiche, senza fonti sonore: sarebbe decisamente priva di apertura spaziale, di volume, di profondità. Per estensione, potremo dire che sarebbe priva di sapore, di senso. Pur essendo del tutto immateriale, la musica è l’espressione più profonda, toccante e avvolgente che l’uomo sia in grado di manifestare.
La musica è da interpretare, nel suo senso più antico e alto, come una sorta di “Arte delle Arti” e l’indizio-chiave, in tal senso, è nascosto nel suo stesso nome: derivante dal latino musĭca, il termine “musica” è figlio di μουσική, a sua volta termine femminile sostantivato di μουσικός, ovvero “musicale”, aggettivo greco che sottintende τέχνη, “arte”. La Musica è, dunque, “Arte delle Muse”, un’Arte che si fa Arte delle Arti, che è in grado di convertire l’aria che respiriamo in un elemento immateriale capace di trasportare l’animo oltre i sensi, addirittura di ammaliare, incantare, ipnotizzare. E, in questo ambito, il mito greco è colmo di esempi.
Per rispondere alla domanda, quindi, la Musica non può (e non deve) essere solo un semplice ‘modo’ di organizzare i suoni, ma deve nascondere dentro di sé una capacità – anche artistica e artigianale – di sorprendere, illuminare, rivelare l’emozione.
C’è un suono interiore ed uno esteriore, c’è un ritmo originario e uno costruito. In che modo la musica opera una sintesi e un dialogo fra questi due mondi?
Un meraviglioso esempio ci viene in aiuto: prima ancora di vedere la luce, quando viviamo nel pancione della nostra mamma, siamo testimoni di una magia che avviene una sola volta nella vita. La voce di nostra madre diventa il nostro primo patrimonio sonoro che si esprime in modo “endogeno” ed “esogeno” simultaneamente, come una specie di magia. Oltre ad una serie di elementi sonori e di vibrazioni di cui siamo testimoni e protagonisti nella nostra vita vissuta nel pancione per alcuni mesi, “quella” voce della mamma è e sarà una voce-simbolo della nostra vita e della nostra crescita.
Nel corso della nostra vita, la Musica riesce a ricreare – artificialmente e in qualsiasi momento – quel brivido iniziale, quella magia endogena/esogena: quando ascoltiamo alcune canzoni, sentiamo musica e testo provenire da una fonte esterna (una radio, un disco, uno smartphone, un tablet, uno stereo, un CD…) eppure la sentiamo “dentro”, sembra cucita addosso a noi, sembra parlarci direttamente. È l’Arte delle Arti, quello di cui parlavano i Greci e che, evidentemente, è al di fuori del tempo, delle latitudini, delle culture.
Partiamo dai quattro elementi fondamentali: aria, acqua, terra e fuoco. Che strumento musicale assoceresti a ciascuno?
Aria = Senza dubbio il Flauto di Pan, la “siringa” degli antichi Greci. Il satiro Pan suonava questo speciale flauto, realizzato con canne di bambù di differenti altezze, per incantare i viandanti. Un soffio d’aria che incantava, conquistava e intrappolava gli ascoltatori! Consiglio di ascoltare il tema di “Cockeye’s Song”, composto da Ennio Morricone per il film “C’era una volta in America”. Il Flauto di Pan è presente al suo massimo potenziale espressivo.
Acqua = Anche qui non ho dubbi: i tamburi ad acqua, presenti in molte culture africane e in molte tradizioni musicali dei nativi americani. Una zucca – o anche un legno cavo – viene tagliata a metà e riempita d’acqua. Sono strumenti prevalentemente adottati per accompagnare danze rituali, sociali o canti. Diversi da qualsiasi tipo di tamburo, i suoni dei tamburi ad acqua sono straordinari e oggi molto utilizzati anche dal vivo in studi di registrazione, spesso in forma di “waterphones”, percussioni più sofisticate rispetto ai modelli originari tribali. Ho avuto il piacere di apprezzare il loro suono dal vivo molti anni fa, durante un concerto della cantautrice portoghese Dulce Pontes, una delle più autorevoli e intense voci del fado contemporaneo.
Terra = La scelta si fa qui meno ovvia rispetto alle precedenti: il basso elettrico. Affermerei che il basso è uno strumento con i piedi per terra. Per citare Roberto Vecchioni: “Il bassista è il centro della band, quello che tiene insieme tutto”. Concreto, decisivo, prezioso ma non vistoso. Il popolarissimo romanziere Stephen King ha scritto: “I bassisti erano gli uomini invisibili del mondo del rock. C’erano naturalmente anche le eccezioni, a cominciare da Paul McCartney, ma come al solito servivano a confermare la regola” e aggiunge che il bassista è “là, davanti a tutti, a guardare il prossimo dall’alto, non soltanto alla festa, ma a far succedere la festa” ed è, quindi, “contemporaneamente quasi invisibile e assolutamente indispensabile”.
Fuoco = Il trombettista Wynton Marsalis ha spesso affermato che “i batteristi sono bassi e nervosi” ma anche che “controllano le dinamiche, il tempo e il senso di un brano”. La batteria è uno strumento di puro fuoco: accende la miccia, getta la benzina, alimenta le fiamme, osserva esplodere il suono e vede anche l’effetto che fa!
La musica è una forma di linguaggio, direi arcaica e archetipica, che ha sempre accompagnato l’uomo. Da un insieme di suoni naturali percepiti, l’uomo è progressivamente passato alla costruzione di autentiche architetture musicali rispondenti a una spinta emotiva e comunicativa interiore. Come dicevamo in precedenza, la musica ha esercitato un forte potere sulle comunità umane evocando emozioni e veicolando linguaggi e comportamenti. Dalle opere sinfoniche alle canzoni si può dire che esiste una musica per ogni stagione della vita e, all’interno di questa, un’armonia per ogni stato d’animo. Ora le varie “categorie” musicali, sia individuali che collettive, sono secondo te rigide o possono cambiare nel corso della vita della persona e della comunità. Puoi farci un esempio in merito?
“Esistono soltanto due generi di musica: quella bella e quella brutta”: se lo dice Duke Ellington c’è da fidarsi! In effetti spesso scegliamo di ascoltare musiche diverse in differenti fasi della vita, dal rock al jazz, dalla disco-music alla canzone d’autore, dalle sonate per pianoforte alle sinfonie. È naturale e, probabilmente, anche molto giusto: la musica è al nostro fianco, in modo fluido, trasformativo e costante. Talvolta ci sceglie lei (“la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei” canta Ligabue), ma nella gran parte dei casi siamo noi a sceglierla.
In alcuni momenti della nostra vita decidiamo, addirittura, di non ascoltare proprio nulla: anche il suono del silenzio ha un valore profondo, intenso. E va rispettato.
La musica veste, se vogliamo, vari aspetti della nostra vita e, soprattutto, è un elemento “linguistico” molto forte e globalmente diffuso. Mi riferisco all’intrinseco legame che esiste tra musica e film. A tal proposito, mi fa piacere ricordare che Michelangelo Iossa è in libreria con un volume dedicato alle colonne sonore della spia per antonomasia, dell’agente segreto più famoso del mondo, James Bond. Nel suo godibilissimo libro “007 Operazione Suono”, uscito per Rogiosi Editore lo scorso 15 dicembre, Iossa coinvolge il lettore in un viaggio del tutto unico nel mondo bondiano: un percorso che si snoda tra la penna di Fleming, la filmografia ufficiale e la storia delle colonne sonore e delle canzoni originali tratte dai film. Il libro è estremamente ricco, frutto di un lungo lavoro di ricerca che incarna passione e rigore. Da Shirley Bassey a Billie Eilish, da Adele a Sir Paul McCartney, passando per Tina Turner, Sam Smith, i Duran Duran, Louis Armstrong o Tom Jones, Iossa racconta le canzoni memorabili che hanno accompagnato le imprese cinematografiche di Bond, ma anche i temi orchestrali della saga a partire dallo strumentale James Bond Theme di Monty Norman, leggendario e pluripremiato compositore britannico che ha impreziosito 007 Operazione Suono con la sua prefazione, alla colonna sonora di No Time To Die del Premio Oscar Hans Zimmer, passando per le leggendarie soundtrack di John Barry, George Martin, David Arnold, Eric Serra, Michael Kamen, Michel Legrand, Jerry Goldsmith, Thomas Newman, Burt Bacharach e, naturalmente, John Barry. E a proposito di colonne sonore, che sono parte del film come la sceneggiatura, la recitazione, la regia la fotografia, vorrei sapere quali sono le caratteristiche che deve avere una composizione musicale per divenire una colonna sonora in grado di emozionarci in modo tale da identificare in modo riconoscibile un determinato film?
Molto spesso, durante le mie lezioni universitarie, con le studentesse e con gli studenti del Laboratorio di Musicologia faccio un piccolo esperimento. Mostro una fotografia del mare calmo, placido. Se aggiungo le due note-simbolo del tema musicale de “Lo Squalo” di John Williams, il clima cambia completamente e una piccola sensazione di paura si fa spazio. Per inciso, nella gran parte del film di Spielberg, lo squalo non si mostra affatto, viene evocato solo dalla musica di Williams.
Allo stesso modo potremmo mostrare una foto di una prateria. Se aggiungiamo il suono di una campana, di una frusta, di uno sparo o, addirittura, un tema orchestrale di Ennio Morricone, ci proiettiamo istantaneamente in un film ‘spaghetti western’ di Sergio Leone e ci sembra di sentire addosso lo sguardo di Clint Eastwood.
Sarebbe impensabile guardare un film di Hitchcock senza le musiche di Bernard Herrmann e il discorso vale anche per Fellini e Nino Rota.
Per entrare nel mito, le soundtracks devono creare autentici “paesaggi sonori”, non devono proporsi come elementi decorativi o accessori. Agiscono sulle nostre memorie, sulle sensazioni collettive, addirittura sull’identità di un popolo: in tal senso, Morricone e Rota sono parte del DNA degli italiani.
Abbiamo iniziato chiedendo cos’è la musica da un punto di vista della dialettica scientifica. In chiusura vorrei chiederti cos’è la musica per Michelangelo Iossa nella sua vita?
Ho il privilegio di essere letteralmente “immerso” nella musica: la ascolto sin da bambino, la suono dalla prima adolescenza, la analizzo nei saggi e nei libri, la divulgo in molte occasioni, ne scrivo costantemente in articoli. È certamente uno dei più straordinari regali che ho ricevuto dalla vita.
È una gioia ininterrotta perché per me la Musica è l’Arte che, più di ogni altra, riesce ad entrare nel cuore senza mediazioni. Faccio un esempio: moltissime canzoni sono associate a diversi momenti della mia vita, ho decine di melodie “del cuore”, di canzoni-chiave, di segni musicali disseminati lungo un’intera esistenza. Eppure c’è un brano, “The Way We Were”, scritto dal grande compositore Marvin Hamlisch per il film “Come eravamo” e portato al successo da Barbra Streisand che tocca emotivamente, direi ‘fisicamente’, il mio cuore, pur non essendo affatto associata a ricordi o momenti-clou della mia vita! La cosa ancora più incredibile è che ciò avviene sempre allo stesso modo e sempre nello stesso punto della canzone (per la cronaca, all’interno delle strofe)!
Questo fenomeno non è infrequente: a Federico Fellini, ad esempio, succedeva una cosa simile con la melodia della canzone “Amapola”. Ne parlai alcuni anni fa con Nicola Piovani, nel corso di un’intervista per il suo libro “La Musica è Pericolosa” e il compositore Premio Oscar mi disse che “era proprio Fellini ad affermare che “la musica è pericolosa”. È pericolosa come lo sono le cose belle quando hanno a che fare con l’indicibile, come quel senso di spaesamento che ti coglie negli amori adolescenziali”.
Infine, ci racconteresti la tua giornata in musica? Una canzone/tema strumentale che accompagna il tuo risveglio, una che ti accompagna durante il lavoro, una per rilassarti?
Per il risveglio scelgo “Start Me Up” dei Rolling Stones: un eccellente carburante per ‘accendere’ la giornata. Per il lavoro “Working For a Living” di Huey Lewis & The News, una delle mie band preferite. Per rilassarmi “Bluebird” dei Wings di Paul McCartney e, per la sera, “Notte di Luna Calante” di Domenico Modugno.