“Gli elementi di fragilità che possono limitare lo sviluppo e il progresso sociale degli individui sono molteplici e dipendono in larga misura dalla società e dal contesto in cui sono collocati”, così si esprimeva Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’ISTAT, durante un’audizione presso il Comitato Tecnico-Scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri dello scorso 24 marzo. Blangiardo, nelle sue premesse, coglie la definizione della stessa disabilità, ovvero la relazione tra le condizioni personali delle persone e l’ambiente fisico e sociale circostante. Tabù e pregiudizi si possono verificare in vario modo, fino a determinare un fenomeno discriminatorio vero e proprio, definito “abilismo”. Nel vocabolario Treccani si rintraccia una definizione di abilismo, inserita solo nel 2020; il termine deriva dall’inglese “ableism” e viene descritto come “l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità”.
Carmelo Comisi, Disability Pride Network
Il radicammento dell’abilismo è nella convinzione che le abilità tipiche siano superiori e che le persone con disabilità sono quindi degli esseri umani di serie B. Su questo tema ascoltiamo Carmelo Comisi, portavoce del Disability Pride Network, rete di associazioni e organismi che ruotano attorno al variegato mondo delle disabilità. Chiedo subito quale sia il punto di convergenza del network sul ddl Zan. «Può apparire insolito che una persona con disabilità condivida delle rivendicazioni con un movimento che chiede l’approvazione del ddl Zan, perché percepita dal grande pubblico e passata nei media prevalentemente come norma a tutela delle persone LGBTQA+ dai crimini di odio e violenza. Questa legge, però, ha il merito di considerare i crimini d’odio per quei reati che comportano violenza e riconducibili sotto il cappello dell’abilismo». Quale definizione dà Carmelo Comisi di questo fenomeno? «Esso è anche altro dalla mera violenza; sono abilisti tutti quegli atteggiamenti che non permettono alle persone con disabilità di vivere una piena inclusione nella società; ma capita che questi atteggiamenti si trasformino in dei comportamenti violenti verso le persone. Spesso ne sono vittime, ad esempio, persone con autismo, come ci racconta la recente cronaca, dove a Roma una ragazzina autistica è stata malmenata, ricevendo in ospedale 35 giorni di prognosi».
Concretamente, come agirà la legge Zan, quando approvata, a tutela delle persone disabili? «Il mondo delle disabilità vuole l’approvazione della legge Zan, da un lato perché parla di contrasto alle forme violente di abilismo, ma anche perché contiene delle misure per sensibilizzare, quindi per prevenire l’abilismo. Questa impostazione prevista nella legge Zan ci unisce nella battaglia per la sua approvazione con la comunità LGBTQA+. Auspico si possano moltiplicare questi spazi condivisi entro i quali costruire una società migliore, più equa, un mondo che sia più inclusivo». Ma il fenomeno com’è vissuto dalle persone con disabilità, quale la percezione nella rete del Disability Pride delle discriminazioni abiliste? «Oggi le discriminazioni verso le persone con disabilità si verificano. Non sempre gli atteggiamenti si trasformano in un comportamento violento, ma succede; succede nelle scuole con gli atti di bullismo, succede spesso anche per strada. L’abilismo però si traduce anche in altre forme: è abilismo una carenza nel rispetto delle norme per l’abbattimento delle barriere architettoniche, nei luoghi di fruizione pubblica, è abilismo la mancanza di opportunità, è abilismo una mancata presenza sui media».
Su quest’ultimo aspetto volevo soffermarmi: se questa carenza di attenzione, già riguardante le donne, viene rapportato al mondo delle disabilità il quadro è grave; quante sono le persone con disabilità che vengono, ad esempio, invitate nelle trasmissioni per parlare dei temi collegati a certe problematiche? «Spesso sono i “normodotati” che parlano di questo, in una maniera che noi persone con disabilità non esitiamo a considerare sbagliata, sottolineando dei toni spesso pietistici o compassionevoli. Ebbene, questo non è quello che vogliamo, è anche questo tipo di abilismo a cui ci opponiamo. La legge Zan si rende necessaria anche per un altro motivo, temuto da chi si oppone alla sua approvazione, cioè il fatto che nelle scuole si incominci a parlare di diversità e del rispetto di questa caratteristica, di valorizzare le diversità. Mi chiedo dove può esserci la paura ad interagire con una parte della società, che nonostante nei numeri possa sembrare marginale, riguarda molte persone; ciò ha più peso se si associa il fenomeno discriminatorio per motivi di genere o di orientamento sessuale».